In Italia è sparita la sinistra


Oggi siamo in un momento di estrema gravità, forse il passaggio più drammatico dal 1945 in poi.
Sermoni, slanci poetici, comizi da avvocati paglietta, sparate da sindacalista lasciano il tempo che trovano. Occorrono proposte precise e radicali che possono venire solo da analisi rigorose ed attente.
 E questo presuppone un certo grado di conoscenze del terreno di scontro, a cominciare dalla crisi finanziaria.
Diciamocelo:  fra i militanti di sinistra serpeggia una certa idea per cui la finanza è una cosa che riguarda “lorsignori”, a noi basta fare muro in difesa dei nostri diritti, senza stare ad addentrarci in  un mondo ostile ed astruso. Lasciamo che se la sbroglino loro.
Ebbene questo è il modo migliore per perdere, anche (e soprattutto) sul terreno dei nostri diritti. Non si tratta di parteggiare per uno schieramento finanziario conto un altro, si tratta di assumere il “partito della finanza” come nostro nemico e batterlo.
Ma questo non si può fare  se non si ha chiara la situazione e non si ha una linea politica propria da contrapporre a quella degli altri. Però, siccome non possiamo pretendere che la gente si iscriva a tamburo battente ad un corso di economia finanziaria per orientarsi, spetta alle organizzazioni politiche e sindacali tradurre in opzioni politicamente comprensibili  i termini di un dibattito specialistico.
Ma se anche i dirigenti politici e sindacali non capiscono un accidenti di queste cose, come pretendiamo che possano farlo?

Da anni assistiamo a dibattiti televisivi e radiofonici, dove spesso ci sono dirigenti politici e sindacali anche di livello nazionale. E' evidente che, nella maggior parte dei casi, il politico o il sindacalista di turno si guardano con un’aria di pesce lesso che tradisce la più totale ignoranza dell’Abc dell’economia, della finanza e, per la verità, anche della politica internazionale.
 Come si fa a discutere in queste condizioni? Capisco che la finanza non sia una materia allettante, ma non è accettabile che un dirigente politico o sindacale ne sia a digiuno.

Ma cosa propongono i leader di sx:

Migliore vuole “entrare nel recinto” per condizionare il centro sinistra.
Ma che significa “spostare a sinistra il centro sinistra”, questa tattica è  in funzione di quale strategia?

Mi spiego meglio:

Vendola i soldi per sanare i buchi di cassa delle banche li darebbe o no? Ed a quali condizioni?E se è del parere di non darli, come pensa di far fronte al conseguente “domino bancario” ed ai problemi dei risparmiatori che rischierebbero di perdere tutto? Dobbiamo mantenere l’Euro o no? E se dobbiamo uscirne, come fare?E del debito pubblico accumulato che facciamo? Cosa pensa dei derivati? Oltre che la solita panacea della patrimoniale non ho sentito.

Bertinotti non si è speso su questo terreno, limitandosi ad auspicare una rivolta sociale contro le politiche tardo-liberiste. Va bene, ma quali debbono essere le rivendicazioni concrete e gli obiettivi da raggiungere di questi movimenti? Dobbiamo scioperare perchè le banche centrali immettano liquidità o, al contrario, perchè non lo facciano? O la cosa ci è indifferente?

Parlare della crisi significa parlare di queste cose, avanzare proposte su questi terreni, il resto è solo chiacchiericcio politicante.

Vendola vuole entrare nel recinto, Bertinotti vuole starne fuori per romperlo e Ferrero ha una posizione intermedia; cioè vuole stare seduto sulla staccionata. 
Lui che pensa dei derivati? Come dobbiamo far pagare le tasse sulle rendite finanziarie? 

 Questo pone un problema che da troppo tempo eludiamo: quello della preparazione del nostro ceto politico. 
Sino a buona parte degli anni ottanta, era un punto di onore sia per i dirigenti comunisti o socialisti e di parte dell’estrema sinistra, dimostrare una migliore capacità di analisi fondata sulla maggior quantità possibile di dati. mentre ora "il vuoto assoluto"

Ma chi li a eletti dirigenti?

Qui veniamo ad un altro punto i "congressi" questi dirigenti sono stati eletti dagli iscritti e, sino a quando sono confermati, hanno piena legittimazione. 

Sono stati eletti dagli iscritti, siamo sicuri?

Se ci riferiamo  a quel simulacro di democrazia che sono i congressi, abbiamo ragione, ma sappiamo come funziona la macchinetta?

Chiunque abbia un po’ di anni di militanza alle spalle e l’abbia fatta ad occhi aperti sa:


·       che fra un congresso e l’altro, il gruppo dirigente gode di visibilità quasi in esclusiva, perchè a nessun militante che non ne faccia parte è dato far conoscere proposte ed idee se non attraverso canali collaterali e secondari

·       che, sempre fra un congresso e l’altro, il gruppo dirigente dispone delle riscorse del partito che distribuisce selettivamente a proprio piacimento (contributi alle federazioni, trattamento dei funzionari, disponibilità ad offrire appoggi istituzionali, spazi sulla stampa di partito ecc.) per cui si guadagna in questo modo l’appoggio dei beneficiati, soprattutto fra i funzionari.
·       che il gruppo dirigente in carica è quello che sceglie anche i parlamentari da eleggere, il direttore del giornale del partito, talvolta i consiglieri degli enti locali maggiori, assicurandosi così il controllo di altre leve utilissime in vista del congresso. Nel caso specifico di Rifondazione, non si usa neppure far  finta di consultare la base su chi debbano essere i parlamentari e tutto è fatto nel ristrettissimo cerchio della Direzione Nazionale (neppure del Comitato Politico Nazionale)

·       il gruppo dirigente ha il monopolio delle informazioni, dallo stato reale del bilancio e del tesseramento alla composizione dei gruppi dirigenti di federazione ecc.

·       nei casi di maggiori turbolenze di base è sempre possibile ricorrere alle sanzioni disciplinari

·       quando poi arriva il congresso esso si svolge su mozioni predeterminate dal gruppo dirigente uscente che ripropone sè stesso, come è esposto nella legge delle elites politiche che si riproducono per cooptazioni.

E per decenza non tocchiamo il tasto dei congressi “irregolari” e dei tesseramenti gonfiati, problema che mi pare affligga anche Rifondazione: sbaglio o negli anni di congresso il tesseramento di Rifondazione è regolarmente superiore del 30-40% rispetto alla media annuale? E’ un caso?
Possiamo parlate di democrazia e di dirigenti eletti dagli iscritti? Ma dove vivete, sulla luna? 

Le divisioni potrebbero essere frutto di calcoli personali o di linee politiche diverse. 
A parte il fatto che tante divergenze politiche (che non siano piccoli calcoli di bottega) non ne vedo, il punto è un altro: questo richiederebbe una credibilità personale di chi ha diretto Rifondazione in questi anni, ma come si fa a stimare questo ceto politico? 
Nel 2008, Rifondazione era un partito che si aggirava fra il 6 ed il 7% e, con i comunisti italiani ed i Verdi partiva da una base dell’11% circa cui si sarebbero dovuti aggiungere i voti della sinistra Ds. Alla prova del voto, la Sinistra Arcobaleno otteneva il 3,7% perdendo quasi il 70% dei suoi elettori. Un primato mai toccato prima da nessun altro, che determinava l’esclusione dal Parlamento di tutta la lista.
Di fronte ad una Caporetto del genere, l’intero gruppo dirigente avrebbe dovuto dimettersi e ritirarsi a vita privata, chiedendo scusa di esistere.  Di fatto, l’unico a ritirarsi è stato Fausto Bertinotti, migliore dei suoi dirigenti che, come se nulla fosse, si sono riproposti a dirigere il partito.

Ne seguì un congresso indecente, senza nessuno sforzo per capire le ragioni della sconfitta ma con una ignobile rissa per la conquista della poltrona di segretario. Vinse Ferrero, come si sa.
“l’unità del partito non si tocca… i militanti con capirebbero”, ciò che si disse il giorno dopo il congresso, poi però ci fu la scissione nel più rovinoso dei modi. 

Il risultato alle elezioni fu:
La Fds (Rifondazione, con il Pdc’I) ottenne un effimero 3,4% alle europee, il che comunque ne sanciva l’esclusione dal Parlamento europeo. 
Nelle regionali successive (2010) le cose andavano peggio e la Fds perdeva voti quasi in tutte le regioni (anche rispetto all’anno prima), conquistando meno di 10 consiglieri regionali in tutta Italia.

Tendenza ribadita dalle amministrative di questo anno: Rifondazione otteneva qualche cosa in più solo a Milano e Napoli (dove si trovava nella coalizione vincente e grazie all’errore di Sel napoletana di appoggiare Morcone  al posto di De Magistris) ma i risultati di Bologna e Torino erano catastrofici, collocandosi molto al di sotto del 2%.

A questo punto, il gruppo dirigente uscito dal congresso di Chianciano avrebbe dovuto fare quel passo indietro che non aveva fatto tre anni prima e riconoscere la propria incapacità politica a raggiungere gli obbiettivi che il congresso gli aveva affidati.

Invece, Ferrero, Grassi e Rocchi (i principali tre possessori di pacchetti di tessere) fanno una mozione unica per fare un finto congresso e assicurarsi la rielezione in modo da arrivare in sella quando si faranno le liste per le politiche.

Tutto ciò premesso, come si fa a non pensare che l’unico fine di questo gruppo (si fa per dire) dirigente è solo quello di assicurarsi una decorosa vecchiaia?

Il guaio, è che uno dei vizi peggiori della tradizione comunista è il culto del gruppo dirigente che non è mai chiamato a rendere conto del suo operato ed è difeso qualsiasi bestialità faccia.

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