I siciliani bocciano questa politica


La maggioranza assoluta del popolo siciliano non si è recata alle urne schifata dalla politica fatta da oligarchi politicanti arroganti e magna magna.
Nel cupo scenario di una crisi sociale provocata dalla borghesia italiana per impoverire i lavoratori ed il ceto medio il fallimento della Regione è diventato più evidente.
Come tutti dichiaravano, le elezioni i
n Sicilia sono un referendum sul tipo di politica, mentre i partiti di dx e sx, sapendo dello scempio che hanno commesso in questi anni proseguendo da una parte sul malaffare e dall’altra promuovendo sudditanza ai poteri forti e alla finanza, hanno pensato di correre ai ripari con una lotta interna al rinnovamento.
Quindi non si attaccano le scelte politiche, ma si cerca semplicemente un cambio generazionale, come propone Renzi nel centrosx e la Santanche nel centrodx, come se la sfiducia fosse data al condottiero e non al tipo di politica.
Il lombardismo in sicilia, ma è prassi ovunque, la degenerazione della politica ha portato alle estreme conseguenze del fallimento morale e finanziario dell’italia, con sperperi del denaro pubblico, dilapidato da voraci consorterie politiche che hanno scelto la politica come business.
La politica nella sua accezione alta è morta da un pezzo e la pubblica amministrazione è oggetto di un assalto di violenti alla cassa.
Anche dentro i partiti i candidati onesti e poveri hanno dovuto soccombere alla aggressività ed alla prepotenza dei più forti e sostenuti da fameliche orde di aspiranti al profitto.
Ora la parola d'ordine dei mass-media è minimizzare la diserzione delle urne dei siciliani.
Se i grillini hanno avuto successo da come sembra è perché parlano una politica diversa fuori dalla triade e dalla morsa velenosa imposta dalla Germania.
La sx vera non quella opportunista, se vuole sopravvivere deve finalmente schierarsi,
• o con le politiche imposte dall’Europa,
• o scegliere di governare il proprio paese con politiche sociali, che proteggono l’Italia dalla speculazione finanziaria, dalla possibilità che grosse aziende di carattere nazionale possano essere esternalizzate, licenziando migliaia di lavoratori, “se la Fiat delocalizza, lo stato deve avere il coraggio di nazionalizzarla”, mentre con le politiche europeiste ciò è impossibile, e saremo costretti a ridurre sempre più lo stato sociale, assistenza previdenza.
I siciliani comunque hanno capito una cosa essenziale, Non c'è alcuna differenza tra centro-destra e centro-sinistra. Entrambi collocano i loro uomini in società miste che sono quasi tutte in rosso e sono incapaci di fare alcunché, pensano solo alla spartizione del potere.

Sinistra, svegliati: con la crisi della globalizzazione la dottrina del libero scambio è superata


Intervista di Marco Berlinguer a Emiliano Brancaccio, docente di economia e politica internazionale...
(Pubblico, 20 ottobre 2012)

La missione che si è dato Emiliano Brancaccio – brillante economista napoletano – è quantomai difficile. Nientedimeno che rompere un tabù: quello che si è creato attorno alla dottrina del libero commercio mondiale. La sua tesi è che con la crisi della globalizzazione capitalistica, nei fatti nuove forme di protezionismo e di controllo politico stanno crescendo. E che quella dottrina è in crisi e ormai superata. Ed è tempo che la sinistra se ne accorga, se non vuole che le proposte di limitazione dei movimenti di capitali e di merci - che incontrano crescenti consensi un po’ ovunque, anche in Italia - siano cavalcate soltanto da forze populistiche e nazionaliste.

Il protezionismo sta tornando di moda?
Tra il 2008 e il 2012 la Commissione europea ha registrato 534 nuove misure protezionistiche. Non solo l’Argentina, ma anche colossi come Cina, India, Brasile e Stati Uniti hanno introdotto restrizioni. La stessa Russia ha posto in essere 80 nuove misure protezionistiche, il che la dice lunga sul modo in cui intenderà gestire la recente adesione al WTO, l’organizzazione mondiale del commercio. L’unica potenza che ancora resiste alla tentazione di introdurre controlli sui movimenti di capitali e di merci è proprio l’Unione europea. Dietro ci sono gli interessi del paese più forte, la Germania, che dal libero scambio trae grandi vantaggi. Tuttavia, man mano che la crisi avanza, anche in Europa e in Italia aumentano i consensi verso misure di controllo dei commerci, di limitazione delle acquisizioni estere e di ripristino della sovranità nazionale sulla moneta. E’ un’illusione pensare di contrastare quest’onda con la solita vuota retorica europeista.

In effetti i segnali di protezionismo non mancano. Lo stesso Marchionne, in qualità di presidente dell’associazione europea dei costruttori automobilistici, ha criticato l’apertura indiscriminata alle importazioni di autoveicoli prodotti in Asia.
Non solo: Marchionne ha pure chiesto alla Commissione europea di governare i tagli di capacità produttiva delle case automobilistiche europee, in modo da lasciare invariate le quote di mercato: una vera e propria pianificazione pubblica europea dei volumi di produzione. E’ una posizione sensata che tuttavia apre una contraddizione, visto che al tempo stesso Marchionne rivendica piena libertà di trasferimento del capitale di Fiat all’estero ed esige dai lavoratori una totale sottomissione alle leggi del mercato. E’ l’ennesimo sintomo di crisi del liberismo e dei suoi ideologi, che da un lato si arrampicano sugli specchi per giustificare i massicci aiuti pubblici ai capitali privati, e dall’altro continuano a pretendere di avere mani libere nello scontro con i lavoratori.

E la sinistra, dice lei, risalta per il suo silenzio.
Per troppi anni ha subito il condizionamento ideologico del liberismo, dell’idea che la globalizzazione capitalistica fosse un dato ineluttabile e in fin dei conti benefico. Quando Fiat, o i vertici di Alcoa o la famiglia Riva - che hanno ricevuto varie forme di sostegno statale - hanno minacciato di abbandonare l’Italia e investire all’estero, Berlusconi e Monti hanno dato loro man forte sostenendo che un’impresa privata deve esser lasciata libera di trasferirsi dove meglio crede. E non mi risulta che da sinistra si siano levate molte critiche verso questa indiscriminata libertà di spostamento dei capitali. Oppure, quando scopriamo che gli impianti che producono carbone e alluminio in Sardegna sono scarsamente efficienti anche perché risultano in larga misura sottoutilizzati, non mi pare che da sinistra siano giunte proposte per tentare di ridurre un po’ le enormi quantità di questi prodotti che importiamo dalla Cina e dalla Germania. Se si lasciano queste tematiche ai soli movimenti nazionalpopulisti si commette un grave errore di prospettiva.

Quello che molti affermano è che il protezionismo provoca danni economici, pericolosi nazionalismi e persino guerre.
E’ un convincimento tanto diffuso quanto privo di evidenze. Il premio Nobel per l’Economia Paul Samuelson, che non era un protezionista, ci ha spiegato che in presenza di disoccupazione il libero scambio crea problemi, non vantaggi. E l’economista di Harvard Dani Rodrik ci ricorda che negli anni Cinquanta e Sessanta sussistevano numerosi controlli sui movimenti di capitali e di merci, eppure lo sviluppo, l’occupazione e la distribuzione del reddito erano molto migliori di oggi, anche perché quei controlli permettevano ai singoli stati di perseguire obiettivi interni, occupazionali e distributivi. Si potrebbe anche ricordare che la massima liberalizzazione dei movimenti internazionali dei capitali fu raggiunta esattamente alla vigilia della prima guerra mondiale. E’ dunque proprio un incondizionato liberoscambismo, soprattutto in tempi di gravissima crisi economica, che rischia di alimentare le peggiori pulsioni nazionaliste.

Lei arriva anche ad argomentare che una minaccia “neo-protezionista” da parte dei paesi del Sud Europa potrebbe contribuire a salvare l’unità europea. Sembra un paradosso. Ci spiega meglio?
L’Europa può ritrovare coesione interna solo se mette un freno alla competizione salariale al ribasso e attiva un “motore interno” dello sviluppo economico e sociale. Per adesso, tuttavia, ci stiamo muovendo in direzione contraria. La Germania ha imposto ai paesi periferici della zona euro una ricetta a base di depressione, disoccupazione e fallimenti aziendali. La stessa Banca centrale europea segue questa linea: è disposta a difendere i paesi periferici dalla speculazione solo a condizione che questi comprimano ulteriormente la spesa pubblica e il costo del lavoro e si dispongano a vendere i capitali nazionali, incluse le banche. Questa violenta ristrutturazione a guida tedesca trasformerà vaste aree del Sud Europa in deserti produttivi, destinati solo a fornire manodopera a buon mercato alle aree più forti. I gruppi d’interesse prevalenti in Germania sanno che questi processi potrebbero scatenare tensioni tali da indurre i paesi del Sud ad abbandonare l’euro, ma questa eventualità non li spaventa. L’unica vera paura dei tedeschi è che con la moneta unica salti anche il mercato unico europeo, sul quale si fonda la loro egemonia: cioè temono che i paesi del Sud introducano limiti alla libera circolazione dei capitali e delle merci in Europa. In Francia si discute da tempo di opzioni simili, ma il governo socialista non sembra disposto a esplicitare una minaccia protezionista. In Italia, per evitare tentazioni, abbiamo addirittura messo un irriducibile liberoscambista ai vertici del governo. La crisi però avanza, i nodi verranno al pettine. Se la sinistra insiste con il suo liberoscambismo acritico, a scioglierli verranno chiamate forze completamente estranee alla tradizione del movimento dei lavoratori.

Povera Italia



L'Italia è una società a perdere perchè non c'è una sx vera capace di raccogliere la protesta, farne una forza, mettere un freno al partito dei privilegiati capeggiato ieri da Berlusconi oggi da Monti e domani dai Di Pietro, Vendola e Bersani, difendere i diritti essenziali garantiti finora dalla Costituzione.

Una sx portavoce di una politica che migliori le condizioni di vita dell’intera società, una politica socialista, che garantisca servizi sociali e lavoro, dove lo stato ritorni protagonista attivo, e non semplice cassa dove i cosiddetti furbi padroni possano attingere benefici e ricchezza e scaricare debiti e costi.

L'assenza di un fronte socialcomunista ed il collaborazionismo di CGIL, CISL, UIL, con  padronato e governo, azzerano la prospettiva democratica e progressista.

Il futuro dell'Italia semplicemente non esiste per milioni e milioni di persone.

Le lotte dei lavoratori vengono fatte cuocere ognuna nel suo brodo di disperazione.
 La CGIl si guarda bene dal dare loro un punto di unificazione che ne potenzierebbe le possibilità di successo.

Le lotte sono isolate e le persone abbandonate al loro destino.

Hanno una parolina magica con cui giustificano tutto: è la globalizzazione!

Ed invece no! E' la lotta di classe che sta distruggendo la classe operaia facendone una massa di poveri senza diritti, quella lotta di classe che un tempo vedeva protagonisti i lavoratori e che contribuì alla conquista di diritti fondamentali, da anni oramai sono i padroni a condurla.

Grazie ai sindacati filo padronali e a politici sempre più casta e asserviti ai  loro interessi.
Oggi abbiamo avuto l'accendersi di una speranza dallo sciopero degli studenti, dalle lotte delle donne mogli dei lavoratori, alle grosse manifestazioni del popolo greco, spagnolo e Portoghese.

 Gli studenti i cittadini sanno di essere stati fottuti. Le loro famiglie sono in crisi.
Spesso il papà è cassaintegrato o licenziato. Sanno che non hanno niente da aspettarsi da Monti da Passera da Fornero dalla Camusso da Bersani etc...

 Questi signori hanno già sistemato bene i loro figli.

Dei figli dell'Italia lavoratrice se ne fregano ed hanno per loro una camera di tortura ben oliata: la legge Biagi!

Eppure tutti dicono che sono contro il precariato, dalla dx alla sx, a volte mi chiedo ma a sentir loro, ma era solo quel coglione di Bertinotti nel 95 a voler il precariato?
Eppure se tutti sono contro perché non è stata mai abolita? Si dice che favorisce i padroni, ma allora questi partiti che hanno governato, favoriscono i padroni o il popolo e i giovani?

E infine se i cosiddetti compagni che hanno voluto il referendum sull’art. 18, mi chiedo, ma perché non hanno aggiunto al referendum l’eliminazione del precariato, “legge Biagi pacchetto Treu”, sarà forse che anche costoro dopotutto faccia comodo il precariato?

O e semplicemente perché a Vendola serviva più un posto in parlamento che l’eliminazione del precariato?, visto che mai il Pd avrebbe accettato una coalizione con chi promuove ciò?

Povera Italia…. 

Il dietrofront della Fiom


Colpisce la durezza con cui Landini e Airaudo stanno lavorando alla cacciata della sinistra Fiom dalla segreteria nazionale.
Colpisce perché mai era stato messo in discussione in Fiom il diritto al dissenso, la possibilità cioè che su alcune questioni si potessero registrare opinioni differenti anche all'interno della segreteria. E' sufficiente leggere dal sito Fiom i materiali dei comitati centrali degli ultimi dieci anni per averne testimonianza indiscutibile. Mai nessun segretario generale era arrivato al punto di convocare il comitato centrale a porte chiuse, peraltro con un ordine del giorno inquietante: “rapporto politico sull'organizzazione”, per porre in discussione l'opportunità della mia presenza in segreteria.
Mai si era arrivati al tentativo, peraltro infruttuoso, di azzerare la segreteria con le dimissioni di due segretari su 4 pur di cacciare il dissenso.
Perché?
La questione è squisitamente politica, nonostante i goffi tentativi di qualcuno di metterla sul piano personale.
C'è la svolta della Fiom, radicale, netta.

così inizia il commento di Sergio Bellavita seg. Fiom espulso da Landini, che pone la necessità di rilanciare la rete 28 aprile, ossia un'opposizione all'interno della Fiom.


Le scelte del segretario nazionale della Fiom di cacciare dalla segreteria la sx fiom è una scelta politica, nessuno deve mettere in discussione le scelte della Fiom e tantomeno porre degli altolà alla Cgil.

E' chiaro che tale scelta condizionerà enormemente le linee politiche della FIOM, e sposterà l'asse sempre più a dx, fino a rientrare su posizioni comuni con Fim e uilm, proprio come sempre voluto dalla Cgil.

ed è chiaro che tutto ciò si ripercuoterà sulla base della Fiom, e i primi segnali si sono visti proprio a Pomigliano dove l'indicazione che viene dalla Fiom alle proprie Rsu è di partecipare alle iniziative con il sindacalismo di Base nello specifico Slai-Cobas ma a titolo personale, o come richiesto dai delegati Fiom come comitato dei cassintegrati, senza che compaia la bandiera Fiom, in modo che l'organizzazione ne resti fuori.

Il tutto si ripete, l'inizio del rientro Fiom, la rivendicazione di ricostruire la Fiom attraverso le correnti all'interno, sono scenari già visti e prassi già consolidate che non conducono a nulla tranne ad illudere quei compagni più combattivi presenti all'interno dell'organizzazione.

percorsi già praticati prima con essere sindacato, poi con alternativa sindacale, confluita poi nella rete 28 aprile, oggi ci risiamo con la solita manfrina.
Sono anni che la Fiom e la Cgil sono identici a Cisl e Uil se non peggio perchè alimentano false speranze, oggi abbiamo bisogno di altro di costruire un movimento sindacale vero forte anticapitalista e sopratutto di classe e ciò deve avvenire partendo da quello che abbiamo ossia da tutte quelle forze sindacali che hanno sempre respinto il "falso" piano Marchionne.